É il 25 Maggio 1983 e Amburgo e Juventus si sfidano nella Finale (a gara unica) della Coppa dei Campioni 1982-83 allo 'Stadio Olympiakos Spyros (Spiridon) Louis' di Atene (Grecia).
I bianconeri piemontesi sono oramai considerati 'la squadra piú forte del mondo' avendo in rosa motli elementi della nazionale Italiana Campione del Mondo a Spagna 82, con l'aggiunta di due fuoriclasse assoluti come Michel Platini e Zbigniew 'Zibi' Boniek.
La vittoria finale in Coppa dei Campioni sembra 'una cosa dovuta' peró la paura di vincere in europa e un 'tiro della domenica' di Felix Magath fermano i campioni bianconeri ad Atene nella finalissima.
Buona Visione!
Stagione 1982-1983 - Coppa dei Campioni - Finale
Atene, campo neutro - Olympiako Stadio Spyros (Spiridon) Louis
mercoledì 25 maggio 1983 ore 21:15
AMBURGO-JUVENTUS 1-0
MARCATORI: Magath 9
Atene, campo neutro - Olympiako Stadio Spyros (Spiridon) Louis
mercoledì 25 maggio 1983 ore 21:15
AMBURGO-JUVENTUS 1-0
MARCATORI: Magath 9
AMBURGO: Stein, Kaltz, Wehmeyer, Jakobs, Hieronymus, Rolff, Milewski, Groh, Hrubesch, Magath, Bastrup (Von Heesen 55)
A disposizione: Hain, Schroeder, Djordjevic, Brefort
Allenatore: Ernst Happel
JUVENTUS: (c) Zoff, Gentile, Cabrini, Bonini, Brio, Scirea, Bettega R., Tardelli, Rossi P. (Marocchino 56), Platini, Boniek
A disposizione: Bodini, Storgato, Furino, Galderisi
Allenatore: Giovanni Trapattoni
ARBITRO: Rainea (Romania)
AMMONIZIONI: Bonini 36, Cabrini 39 (Juventus); Rolff 35, Groh 39 (Amburgo)
Amburgo-Juventus 25 maggio 1983: 1-0. "...sembra una barzelletta. Felix ha fatto una finta, fatto saltare a vuoto Bettega e calciato un iper-tiro galattico, sotto l’incrocio dell’incolpevole Dino Zoff..."Per me Amburgo - Juventus del 25 maggio 1983 non è finita. Perché è da quando ho 9 anni che sono ancora là ad aspettare, nella stanza di Michele, che qualcuno me lo dica, che è finita. Sono da Michele perché poco prima, sul divano, al gol dell’Amburgo, mi si è aperta per la prima volta, sul mio petto, una ferita, un malessere esistenziale, che non conoscevo e che da grande avrei riconosciuto (poi) col nome di angoscia. E così mi sono spostato. A far finta di guardare i suoi soldatini. Di cui non me ne frega una beata cippa. In realtà per allievare quello stato di angoscia. Perché? Perché perdere sarebbe incredibile.E pensare che d’incredibile nell’attesa c’era la convinzione di tutt’altro. C’era la certezza dei poteri soprannaturali della mia Juve. Equiparabile a quelle robe da botteghino che danno su Sky. Tipo Advergeers, Giustice League, X men. Un battaglione di campioni del mondo votati alla vittoria, con a capo un genio francese a cavallo di un agile destriero di origine polacca. Incredibile poi era stata l’avventura. I nostri avevano sconfitto prima i temuti inglesi dell’Aston Villa, detentori del titolo (in differita su rai 2) e poi, in semifinale, il diavolo rosso comunista, quest’ultimo nelle profonde di un citta lontana e impronunciabile (Wids…Widss…no ja fò…Widwedg lodg… Widzew Lodz, ecco!).Lo ammetto. Per me Bettega non era un giocatore di calcio. Per me Bettega era immortale! E poi stavo da Adriano, il papà di Michele, a vedere la partita coi grandi. Seduto, comodo, invitato. Con Michele che si era dileguato subito, annoiato, salvandomi dal tedio di rispondere “no!” ad ogni suo invito a conquistare gli inglesi, posizionati sul comodino, con l’assalto di rampanti soldatini tedeschi che avanzavano dalla scarpiera della sua camera.Assaporavo il solito lieto fine. Solo che poi è successo che uno che di nome fa Felix (ti farà mica dei male uno con un nome del genere?) ha ricevuto la palla da destra. A passargliela è stato Groth. Che a sua volta l’ha intercettata da un risentito Kaltz. Il quale si è incavolato. Un tipo che sono convinto si chiami così per via dei calzini arrotolati alle caviglie. E si sono mandati a quel paese. E sembra una barzelletta. E Felix, ha fatto una finta, fatto saltare a vuoto Bettega, e calciato un iper-tiro galattico, supersonico, raggi beta, sotto l’incrocio dell’incolpevole Dino Zoff.Squarcio. Non sto mica tanto bene, e non è dolore fisico. Reggo fino all’inizio della ripresa, non rimontiamo, non tiriamo. Cerco Michele. Lo raggiungo. Coi tedeschi (maledetti) agguantiamo sti addormentati di inglesi sul comodino. E ho l’udito così vigile, pronto a sentire ogni minimo rumore dal salotto, qualcosa che mi dica che la stiamo riprendendo, che sento tutti i grilli e le cicale del paese cantare in coro, Vamos a la playa.….E trentasette anni dopo io sono ancora là, in quella stanza, con un soldatino in mano e Michele di fronte a me. Perché è impossibile. E’ ancora impossibile che finisca così.Lorenzo Cargnelutti