É il 26 Aprile 1991 ed Inter e Juventus si sfidano nella tredicesima giornata del girone di ritorno del Campionato Italiano di Calcio di Serie A 1991-92 allo Stadio 'Giuseppe Meazza - San Siro' di Milano.
Contro questo Milan (imbattuto in Serie A) perfettamente guidato in panchina da Fabio Capello, é diffcile ottenere di piú di un secondo posto nella Classifica Finale del massimo campionato italiano. Cosí una Juventus ancora debole ma tanto volenterosa riesce nel suo scopo iniziale!
Dall'altra parte c'é la sqaudra neroazzurra che disputa una stagione tutta da dimenticare - fuori dalle posizioni che contano e con un futuro tutto da chiarire.
Buona Visione!
Stagione 1991-1992 - Campionato di Serie A - 13 ritorno
Milano - Stadio Giuseppe Meazza
domenica 26 aprile 1992 ore 16:00
INTER-JUVENTUS 1-3
MARCATORI: Baggio R. rigore 30, Baggio R. 37, Schillaci 54, Fontolan 62
Milano - Stadio Giuseppe Meazza
domenica 26 aprile 1992 ore 16:00
INTER-JUVENTUS 1-3
MARCATORI: Baggio R. rigore 30, Baggio R. 37, Schillaci 54, Fontolan 62
INTER: Zenga, Bergomi, Brehme, Baggio D., Ferri R., Battistini S., Bianchi A., Berti (Orlando 74), Klinsmann, Desideri, Fontolan (Ciocci 74)
A disposizione: Abate, Abate G., Pizzi
Allenatore: Luis Suarez
JUVENTUS: Peruzzi, Luppi, (c) Marocchi, Reuter, Carrera M., Julio Cesar, Di Canio, Galia, Schillaci (Conte A. 75), Baggio R. (Corini 60), Casiraghi
A disposizione: Tacconi, De Agostini, Alessio
Allenatore: Giovanni Trapattoni
ARBITRO: Beschin
AMMONIZIONI: Desideri 10, Zenga 29 (Inter)
L'Inter sempre più lontana dall'Europa travolta dai bianconeri, mai così spavaldi fuori casa
Baggio dirige la sinfonia Juventus
Sul 3-0 il fantasista lascia il podio
MILANO. Grande Juve, grandissima. E piccola Inter, piccolissima. Diffìcile tracciare confini precisi, quando una squadra annichilisce l'altra in termini così assoluti, così sontuosi, così stordenti. Per un'ora, non c'è gara, poi esce Roberto Baggio, e le acque s'increspano un po'. Ma resta, indelebile, l'abisso che separa i vincitori dai vinti, tanto che chiedersi come mai soltanto adesso, a scudetto assegnato, Madama abbia affrontato con tale spavalderia una trasferta, sulla carta, fra le più cruciali, è domanda doverosa, e non esercizio retorico. Avete presente l'Inter che, in dieci, riuscì a tenere in scacco il Milan per 89 minuti? Bene, quella di ieri è l'esatto contrario: sbrindellata, amorfa, isterica. Sono molteplici i sentieri che conducono la Juve al trionfo. Il partitone di Roberto Baggio, che Suarez lascia in balia di vacue sentinelle, dall'omonimo Dino in giù. I sincronismi di un centrocampo maramaldo, che trova in Galia un estemporaneo leader. La posizione ritoccata di Di Canio, collocato prima sulla destra, nel settore di Brehme, poi dirottato a sinistra, a cuocere Bianchi, zona dalla quale estrarrà i numeri più applauditi.
D'accordo, il rigore che sblocca il risultato può sembrare persino cinico se paragonato a quello negato a Desideri, non più tardi di otto giorni prima, visto che il fallo cu Bergomi su Di Canio comincia un pelo fuori area. E una valutazione di Beschin - manata di Julio Cesar a Klinsmann, in mischia - troppo tiepida, forse, in rapporto al metro usato in occasione del penalty prò Juve. Ma non è questo il punto. La squadra di Trap domina. Richiama alla memoria addirittura il miglior Milan per come si installa nella metà campo avversaria e martella ai fianchi, sul filo di un encomiabile pressing, gli «scandalosi» rivali. Roberto Baggio gioca alla Trapattoni: dietro Casiraghi e Schillaci, pronto, però, a schizzare in avanti, come testimonia l'arabesco, magistrale, del raddoppio. Protetti da uno Julio Cesar che, al solito, alterna stacchi gladiatori a erroracci da principiante, Luppi e Carrera strapazzano Fontolan (e poi Ciocci) e Klinsmann. Marocchi, a sinistra, s'immola su chiun- que transiti, dal Bianchi delle battute introduttive a un Berti sinceramente inguardabile.
Reuter e Galia completano l'opera di demolizione su Desideri e Berti, quando si accentra, grazie anche al filtro sagace di Casiraghi e Schillaci, attesi dagli smarriti Ferri, Bergomi e Battistini. Non appena Di Canio emigra a sinistra, trascinandosi Bianchi (ahi, Suarez), ecco Reuter spingere alle corde Brehme. Da una parte non c'è Matthaeus; dall'altra, Kohler. Il popolo interista spara a zero su Beschin, per una decina di minuti alla mercé della bagarre, ma dal momento che proprio cieco non è, man mano che passano i minuti cambia bersaglio e irride ai suoi beniamini ridotti in poltiglia. A Madama riesce tutto, all'Inter niente. Persino Zenga denuncia, in uscita, goffe amnesie. Il palo di Casiraghi introduce la sinfonia in (Roberto) Baggio maggiore. Vi facciamo grazia delle opportunità sprecate, sul 3-0, da Totò e Casiraghi. Baggio trasforma in oro tutto quello che tocca. Dino, poveraccio, non lo intercetta mai. Sembra un'Inter in svendita, e non una squadra alla caccia, disperata, di un posticino in Europa. E buon per Suarez che, dopo un'ora, Trapattoni richiama il suo condottiero e sguinzaglia Corini. Sarà un caso, ma nel giro di 6' Fontolan sigla il gol della bandiera - complice, ma non troppo, un Marocchi improvvisatosi portiere - e Peruzzi ne sottrae un altro, con uno splendido colpo di reni, a Desideri.
Invano Suarez ricorre ad Angelo Orlando e Ciocci (fuori Berti e Fontolan). San Siro non crede ai propri occhi. E gli juventini, che pochi non sono, ai loro. La Juve passeggia fra le rovine di una formazione allo sbando. La staffetta tra Schillaci e Conte è pura tappezzeria. Il sunto della partita non sfugge alla logica, elementare, dettata dai più forti. Intorno a Baggio, lampeggia Di Canio e furoreggia Galia. Certo, i rivali permettono di tutto, anche tre colpi di tacco consecutivi. La resa dell'Inter, quando non raggiunge censurabili punte di nevrastenia, è ignominiosa. Diagnosi che non intacca i meriti, enormi, della Juve, invocata a gran voce dai suoi menestrelli.