domenica 27 aprile 2025

27 Aprile 1975: Juventus - Lazio

É il 27 Aprile 1975 Juventus e Lazio si sfidano nella dodicesima giornata del girone di ritorno del Campionato Italiano di Calcio di Serie A 1974-75 allo Stadio 'Comunale' di Torino.

La Juve é guidata in panchina da Carlo Parola e si appresta a vincere il suo sedicesimo scudetto. Dall'altra parte c'é la Lazio che dopo aver vinto il campionato precedente si deve 'accontentare' di un piazzamento Uefa.

Buona Visione!



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Stagione 1974-1975 - Campionato di Serie A - 12 ritorno
Torino - Stadio Comunale
domenica 27 aprile 1975 ore 15:30 
JUVENTUS-LAZIO 4-0
MARCATORI: Altafini 10, Anastasi 83, Anastasi 87, Anastasi 88

JUVENTUS: Zoff, Gentile, Cuccureddu, (c) Furino, Morini, Scirea, Viola F., Causio, Altafini, Capello F., Bettega R. (Anastasi 70)
A disposizione: Piloni, Spinosi
Allenatore: Carlo Parola

LAZIO: Pulici, Ghedin, Martini, Wilson, Oddi, Nanni, Garlaschelli, Re Cecconi, Chinaglia, D'Amico, Badiani
A disposizione: Moriggi, Polentes, Franzoni
Allenatore: Tommaso Maestrelli

ARBITRO: Casarin
AMMONIZIONI: Chinaglia (Lazio)



Alla Signora Juventus 
Lo schiaffo è servito 

Schiaffeggiata dal Twente, poi dalla critica e dal suo presidente, la Vecchia Madama trova riscatto nella quartultima giornata del campionato con una «goleada» d'antico stampo. Dalla «zona Cesarini» alla «zona Altafini» alla «zona Anastasi», insomma. 

La Juve ribadisce i suoi diritti al sedicesimo titolo di campione d'Italia prima con un gol di don José — al 10' la prodigiosa crapa brasilera inventa un proietto di infinita astuzia balistica — e quindi dilaga con «quattro minuti d'oro» di Pietro numero 13. Tra l'84' e l'88', Anastasi crea panico e reti in arca laziale, dove il fantasma di quello che fu il gran Pulici biancoceleste dell'anno scorso non vede palla se non in fondo al sacco. C'era chi la diceva morta, anzi da seppellire per eccesso di stanchezza, la Madama. E invece, almeno per un'ora, abbiamo assistito a una gara piacevole, seppur avvelenata qua e là da tremori, timori, angosce agonistiche. Perché è evidente che in difesa la Juventus teme di cadere in sbagli e autogol deleteri, mentre in attacco, una volta agguantato il vantaggio, non tutti osano sbilanciarsi. Capello avrà l'uretra, Bettega avrà il cuboide o chissà cosa, ma in verità i perni dell'azione bianconera poggiano su Viola e su Furino, per non tacere di Causio, che ha coperto chilometri, inventato oltre ogni dire e naturalmente sbagliato come suole. 

E' da questi tre uomini che la «cintura» torinese ha spremuto sangue. Furino merita ormai un tabernacolo per i sacrifici podistici e d'animo (anche se subisce falli carogneschi come quello perpetrato su di lui da Martini al 64'). Viola dona freschezza e slancio, pur dovendo ripiegare per motivi tattici in più di un'occasione. E il «barone», incerto fino all'ultimo come pedina da schierare, ha contribuito con una generosità rara. Su di loro, poi, cresce il giovinetto Altafini: che in un paio di movenze supera con agilità l'avversario in corsa, inventa un gol da antologia (come al solito), sbaglia in alcuni appoggi ma è punta di aspide per il «collettivo» laziale, tutt'altro che sicuro di sé. Povera Lazio, ahimè. Ha portato avanti il suo svantaggio minimo con il fiato corto. Se fosse uscita con quello zero a uno nel gobbo, nessuno l'avrebbe criticata. Ma è ai mini¬ mi termini. Scombussolata nel morale da quanto è accaduto allo sfortunato Maestrelli, non può giovarsi dei suoi antichi «motori». Martini e Re Cecconi sono le larve degli uomini apparsi nelle precedenti stagioni, Chinaglia ripete la prova d'arretramento inconsulto comandatagli da Bernardini all'Olimpico, come se fosse plagiato. D'Amico è un ragazzetto estroso che tutto può fare, tranne il regista. Un po', se è lecito il paragone, come Causio, che riportato nella sua zona preferita, e cioè all'ala destra (anomala) combina quanto gli pare e non è roso da responsabilità di governo. Una buona porzione di salute la Juventus ce l'aveva ancora da spendere, e lo si è visto, alla faccia dei corvi già pronti a consumarle l'ultimo pasto sulla schiena. La Lazio cede a Torino uno scudetto che meritò ma che non ha saputo difendere secondo le previsioni critiche. Forse il campionato «chiude». 

Anche in coda, con la vittoria dell'Ascoli e con l'autentico scempio commesso dall'arbitro Serafino nella partita che opponeva lo stesso Ascoli alla Ternana, i sentieri per la retrocessione sono ormai segnati. Il Milan, alla faccia di Rivera assente, offre la sua solidarietà a Giagnoni con tre gol. L'Inter-baby tenta il massimo contro il Napoli, ma perde ugualmente, il Torino dei «gemelli da gol» fa vendemmia di calci d'angolo a Varese, ma non infila una rete e non lo si può complimentare di certo. Prosegue la Roma, che nelle ultime tre giornate ha un compilo assai più facile di tutte le concorrenti al vertice e potrebbe sorprendere chicchessia con un secondo posto. In una domenica che ha fatto strage di motori e incidenti, da Barcellona ad Imola, e che riaprirà polemiche luttuose sugli sport meccanici, il calcio ha perlomeno offerto una faccia accettabile. I tre gol di Anastasi, certi duetti tra Causio e Altafini, la stessa fatica virilmente sostenuta da molti bianconeri, non sono episodi da trascurare: il football di quest'anno, criticalo al di là di ogni limite, fornisce ancora un «minimo sportivo» decente. I cattivi astrologhi vadano a nascondersi dietro la lavagna: non mancano orecchi d'asino per incoronarli. 

Giovanni Arpino




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Stretta di mano tra i capitani di Juventus e Lazio: Beppe Furino e Giorgio Chinaglia.